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Introduzione

Alcune persone “predano” i loro simili. Che ci piaccia o no, è uno dei fatti della vita. È un qualcosa che è sempre esistito e che quindi non cambierà. Il numero di sociopatici in una data popolazione varia estesamente, ma possiamo stimare per semplicità che non sia lontano dall’uno per cento. Circa una persona su cento potrà, in certe circostanze, sferrare un attacco violento contro un altro, sfidando la legge, per ragioni che in quel momento gli sembrano sufficienti. Prendete la popolazione maschile e sana della vostra comunità, dividetela per cento, ed otterrete un equa approssimazione del numero dei vostri possibili antagonisti. Non è il caso di discutere questo calcolo in termini matematici. Può essere sbagliato per il luogo ed il periodo in cui vi trovate. Ma chiunque sia consapevole del proprio ambiente sa che il pericolo di un attacco fisico esiste, e che esiste dappertutto ed in ogni momento. La polizia, inoltre, può proteggerci solo occasionalmente.
L'autore presume che esista il diritto all'autodifesa. Altri non sono di quest’idea. Questo libretto non è per loro. Questo libro è destinato a coloro che sono convinti che chiunque scelga di attaccare fisicamente un altro essere umano lo fa a proprio rischio. In alcune giurisdizioni si sostiene che la vittima di un assalitore debba, soprattutto, tentare di fuggire. Questo è un bel concetto legalistico, ma è molto spesso tatticamente inesatto. Nel momento in cui abbiamo esaurito ogni mezzo per evitare il conflitto, può essere troppo tardi per salvare la nostra vita. Le leggi variano, e non possiamo tenerle tutte a mente; in ogni caso, qui noi non discutiamo di giurisprudenza, ma di sopravvivenza. Se uno sopravvive affrontando un combattimento, dobbiamo presumere che è meglio combattere piuttosto che non farlo, anche se dopo dovremo affrontare un’azione legale.
Il crimine violento è fattibile solamente se le sue vittime sono deboli. Una vittima che reagisce rende la vita difficile al proprio assalitore. È vero che una vittima che reagisce potrebbe soffrire per questo, ma chi non lo fa quasi certamente soffrirà per questo. E, sofferenza o meno, chi reagisce mantiene intatti la propria dignità ed il rispetto di sé. Uno studio dell’elenco di atrocità dell’ultimo anno - Starkweather, Speck, Manson, Richard Hickok e Cary Smith, e così via - mostra immediatamente che le vittime, con la loro terrificante inettitudine e la loro paura, hanno virtualmente aiutato i loro assassini. ("Non li facciamo arrabbiare, Martha, così non ci faranno del male.")
Ogni uomo che si consideri tale non può, per il proprio onore, sottomettersi alle minacce o alla violenza. Ma molti uomini che non sono vigliacchi, semplicemente non sono preparati ad affrontare la crudeltà umana. Probabilmente non ci hanno mai pensato (questo può apparire incredibile a chiunque legga un giornale o ascolti le notizie) e semplicemente non sanno cosa fare. Quando essi guardano dritto in faccia la depravazione o la violenza, sono stupiti e confusi. Questo stato di cose può essere modificato. Questo lavoro non affronta le tecniche di combattimento personale. Esistono dei trattati appositi sulle cosiddette "arti marziali" (la boxe, il karate, il coltello, la pistola, ecc.) e devono essere apprese attraverso programmi appropriati di istruzione, addestramento, e pratica. Sarebbe bene che tutti gli uomini e le donne sani li prendessero in considerazione. Ma il soggetto di questo lavoro è più basilare della tecnica, essendo uno studio dei principi di sopravvivenza di fronte alla violenza non provocata da noi ma scatenata da assalitori umani ed illegali. La strategia e la tattica sono subordinate ai principi della guerra così come il combattimento difensivo individuale è subordinato ai principi di difesa personale che seguono.

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